Frantoio Ipogeo

Una testimonianza della millenaria cultura dell’olio in Puglia

La millenaria cultura dell’olio in Puglia

La Puglia è geologicamente costituita da roccia calcarea a strati e le acque hanno formato caverne sotterranee. A seguito queste cavità sono state scavate dall’uomo per essere utilizzate come abitazioni o ricovero del bestiame o come luoghi di culto.
I monaci , dopo,  introdussero i sistemi di lavorazione delle olive in ipogei per difendersi dai saccheggiamenti.
Nella fase di trasformazione delle olive e durante la conservazione dell’olio  era necessario che non vi fossero sbalzi termici per mantenere integri la qualità del prodotto.

I frantoi ipogei  garantivano una temperatura costante interna a 20°C
Le basse temperature invernali non avrebbero permesso una buona macinazione delle olive, né l’olio sarebbe stato sufficientemente fluido da gocciolare dai torchi e decantare. Per aumentare la temperatura ambientale il fuoco era acceso notte e giorno all’interno della cucina.

La vasca della macinazione era collocata al centro e ai lati le presse; All’esterno c’era un ampio spazio per depositare le olive e le stesse venivano fatte cadere (all’interno del frantoio) in corrispondenza della macina con un foro di apertura sul pavimento.

L’estrazione dell’olio ha due fase, la macinatura e la torchiatura della pasta.

Le macine venivano fatte ruotare dagli animali (asini) con un timone, si potevano lavorare quintali di olive ottenendo una pasta con la quale  venivano riempiti i fiscoli di giunco.

I torchi poggiavano su una base fissa posto su un pavimento in pietra e si sovrapponevano 20-25 fiscoli in pila, due o tre operai facevano scendere il  torchio facendo pressare la pasta. I due tipi più diffusi erano ‘alla calabrese’ e ‘alla genovese’, ambedue verticali, ed azionati a forza di braccia. Il primo era composto da due grandi pali di legno duro, filettati, saldamente fissati in alto e in basso. Altrettante grosse chiavarde impanavano su di essi, in modo da imprimere la forte pressione necessaria a due robusti assi sottostanti che, pressando la pasta delle olive, ne estraevano il prezioso liquido. Il secondo tipo di torchio, quello ‘alla genovese’, era molto simile al precedente per funzionamento, con la differenza che doveva essere montato in una nicchia ricavata da una parete. In prossimità dei torchi un sistema di canali raccoglieva l’olio, convogliandolo in ampie vasche interrate, dove restava a decantare per il tempo necessario, fino al momento del “taglio” durante la quale avveniva la separazione dall’olio alle acque impure.

Dalla prima spremitura si otteneva l’80-90%di olio, mentre la sansa che rimaneva nei fiscoli conteneva ancora una quantità di olio che veniva nuovamente lavorato con aggiunta di acqua calda fornendo una quantità di olio del 5-6%

Dopo la prima decantazione nei pozzetti, l’olio decantava ulteriormente in tini di legno separandosi con le acque di vegetazione e veniva trasferito in altri tini. La sansa veniva utilizzata come concime.

Intorno alla cucina c’è la base dove dormivano gli operai. I turni di lavoro erano continui  perché si lavorava a ciclo unico.

L’olio di oliva è ancora il prodotto tipico per eccellenza del territorio di Ostuni. La varietà più rappresentativa è l’ Ogliarola a cui appartengono la maggior parte delle maestose piante degli ulivi secolari.

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